lunedì, aprile 07, 2008

IL CAPO DEI CAPI: QUARANT'ANNI DI COSA NOSTRA SICILIANA IN SALSA MEDIASET.

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La Tao Due, casa di produzione figlia di Mediaset, si cimenta ormai da alcuni anni in fiction televisive ad alto budget. Se per quanto riguarda le produzioni seriali televisive l'interesse è piuttosto scarso, [vedi RIS (il CSI pizza e fichi), i vari Distretti di polizia piuttosto che Ultimo o chi per lui...], si è notato nelle produzioni più recenti una maggiore cura tecnica ed autoriale, sopratutto nelle mini serie. (formula che prevede un massimo di 5-6 episodi di lunga durata, intorno ai 100 min.) Dopo il successo di "Paolo Borsellino" (mini-serie in 2 episodi) che ha avuto il pregio di rispolverare in maniera finalmente consona il tema della lotta alla mafia, "Il capo dei capi" si presenta ancora più in grande. Sei episodi da un'ora e quaranta per capovolgere il tema appena enunciato, e per raccontare la storia di Salvatore Riina, dominatore spietato della mafia siciliana per tutti gli anni ottanta fino alla sua cattura nel 1993, e della sua guerra allo stato. Una storia diametralmente opposta a quella di Borsellino (e Falcone) quindi, ma non per questo meno interessante e che nelle vicende dell'Italia di quegli anni ha giocato un ruolo spaventosamente e tragicamente importante. Tuttavia per quanto la fiction si sforzi di ricostruire minuziosamente la travagliata infanzia/gioventù di Totò, così come di descriverne i tratti caratteriali fino a illustrare la sua clamorosa ascesa nel seno di cosa nostra, sono troppi i lati oscuri della storia della mafia di quegli anni (70'-90') per averne un quadro veramente completo. Quà e là mediaset ci mette del suo tralasciando o sorvolando alcuni aspetti delle varie vicende, ma nel complesso valutanto per l'appunto che proprio di fiction televisiva si parla (praticamente il regno delle favole e della demagogia), l'intera opera risulta ben strutturata e, a tratti, addirittura ispirata.

Ma veniamo a noi: rimasto orfano di padre (che muore facendo esplodere un'ordigno bellico trovato nelle sue terre nel tentativo di recuperare e vendere ai cacciatori la polvere d'asparo in essa contenuta) Totò diventa capo famiglia a soli 13 anni. Lavorerà al soldo del mafioso Luciano Liggio che vede in Totò nella sua fame e nella sua spietatezza, il futuro della mafia Corleonese. Insieme uccideranno Navarra, il boss di Liggio e di tutta Corleone. Assieme al nuovo boss Liggio, e agli amici Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, Totò, una volta uscito di galera a seguito di un'omicidio commesso in una rissa, partirà alla volta di Palermo. Qui, passati indenni attraverso la prima guerra di mafia, l'ormai consolidata cosca dei Corleonesi riuscirà a entrare nella commissione (o cupola) di cosa nostra, l'elite mafiosa che decide spartizioni di tangenti, appalti, territori e non di rado della vita e della morte di chi non rispetta le regole. Con un uso diabolico del doppio gioco, del tradimento, di furbizie varie e anche dell'infamia, Totò riuscirà a creare caos, tensioni e fortissimi dissapori all'interno della commissione. Una situazione favorevole , perchè al suo parossismo Totò prenderà il totale controllo di cosa nostra a seguito della seconda guerra di mafia, una guerra senza precedenti che conta più di mille morti solo a Palermo e in meno di due anni. Una volta diventato "capo dei capi" inizia la guerra allo stato che conta vittime eccellenti come il generale Dalla Chiesa, e i giudici Falcone e Borsellino. (solo per citare i più clamorosi) Dopo le stragi l'inevitabile declino, i pentiti, la risposta dello stato e la cattura.

Tutti gli episodi cruciali del curriculum criminale di Totò sono riportati con cura (non a caso la sceneggiatura si rifà all'omonimo libro di Attilio Bolzoni e Giuseppe D'avanzo che ha per sottotitolo "vita e carriera criminale di Totò Riina"; consigliatissima la lettura.) e non mancano neanche i momenti in famiglia e tra amici (per così dire). A discapito però di un copione uniformemente spalmato su tutta la sua lunga durata, gravano due pesantissime pecche: inanzitutto un personaggio inventato, quello dell'insopportabile sbirro casa e chiesa Biagio Schirò, a fare da collante narrativo alle varie e complesse vicende di intrighi mafiosi, e poi qualche maldestrissima caratterizazzione di personaggi in realtà ben più importanti di come vengono qui dipinti. Iniziamo con Biagio Schirò. Amico di infanzia dello stesso Riina, rinuncia ad un futuro di mafia e ne prende le distanze diventando carabiniere in servizio nel suo stesso paese. (un carabiniere di Corleone a Corleone...un'appello agli sceneggiatori: si poteva trovare di meglio, no ??). Non solo il nostro sbirro dal forzato accento siciliano interpretato dal belloccio di turno (un convintissimo Daniele Liotti), puzza di fiction poliziesca di basso livello, ma assume proporzioni da vero e proprio eroe da tragedia greca. Solo contro tutti si batterà per arrestare Riina, e nella sua lunga carriera sarà sempre al centro di tutte le vicende. Da piccolo è amico di Riina e Provenzano, poi diventa amico di Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino...e che cazzo, tutto lui...!! Insopportabilmente inverosimile e dannatamente palloso nelle sue vicende familiari, Schirò non fà altro che rompere il ritmo della fiction che sarebbe stata senza di lui ben altra cosa. Esigenze di copione o esigenze di pubblico femminile ?? A macchiare ulteriormente lo svolgersi della storia ci sono anche alcuni personaggi resi in modo pessimo, vedi Michele Greco detto "il Pàpa", troppo macchiettistico e lontano fisicamente dal prototipo, un Leoluca Bagarella all'acqua di rose (di ben altra efferatezza quello vero), Giovanni Brusca in versione talebano e un pallido Paolo Borsellino che fà rimpiagere amaramente il Giorgio Tirabassi della fiction dedicata al giudice. Ne dimentico altri.

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Ma veniamo ai lati positivi: Un cast parzialmente azzeccato, un grande protagonista e alcuni dialoghi molto ben resi, sia in chiave narrativa (quando raccontano e riassumono episodi non visti nella fiction) sia in chiave realistico-descrittiva (buon uso, pur sempre televisivo, del dialetto palermitano e alcuni ottimi monologhi chiave nel rendere i personaggi di Liggio, Buscetta e dello stesso Totò...). Nel cast oltre al protagonista sul quale ci soffermiamo tra un'attimo, spiccano Claudio Castrogiovanni (un'ottimo Luciano Liggio di cui coglie la forza e la spietatezza in gioventù e la spacconeria una volta uscito dai giochi) un convincente Stefano Bontade (non sono riuscito a risalire a tutti i nomi degli attori) tutto lusso sangue alla testa e spavalderia, un grande Vincent Riotta (Masino Buscetta) un Tano Badalamenti e un Provenzano che superano la sufficienza e un sorprendente Giuseppe di Cristina.

Claudio Gioè nei panni di Totò Riina, per quanto parecchio diverso fisicamente ,riesce a cogliere in pieno il carattere rozzo e silenzioso del boss in un'abile chiave interpretativa all'insegna dell'"undeplay". Poche mimiche, poca inclinazione all'istrionismo, ma una recitazione semplice ed essenziale in piena sintonia con la flemma del vero Riina, il quale alla domanda "che cosa facciamo ??" rispondeva sempre "...niente, aggiustiamo solo le cose..." (per aggiustare le cose s'intende ovviamente uccidere). Bravo anche in situazioni di doppio gioco dove rende perfettamente la situazione di "tensione sotto controllo" che permette a Totò di gestire a suo favore anche le situazioni più tese approfittando del codice della commissione che alcuni mafiosi applicano a loro modo. Bravo infine, nei sottopanni del diavolo tentatore che piano piano si fà amico picciotti potenti di famiglie rivali. "Te li presto io i soldi per le cure di tuo fratello...non mi puoi ridare indietro i soldi ?? Vuol dire che mi ripagherai con la tua amicizia...". Un Riina a tutto tondo quindi, il nostro claudio Gioè, che dà prova di un grande potenziale.

Alcuni dialoghi interni alla commissione sono efficaci, come quello in cui Riina, accusato di fare il doppio gioco risponde a tutti i presenti mettendo in cattiva luce l'attendibilità del suo interlocutore: "Gli uomini si dividono in due categorie. Chi scopre i fatti...e chi scopre le chiacchere. Cristoro Colombo per esempio, ha scoperto l'America...è un fatto, stà là...ma chi scopre le chiacchere, i pettegolezzi...ma mi dite che minchia di scoperta fà !?!?". Altri dialoghi tra Badalamenti, Bontade e Buscetta sono efficaci ai fini della trama e credibili anche in'ottica storico-mafiosa. Chiuderei qui per quanto riguarda la mafia-fiction made in Italy, nella speranza che una tale produzione possa dare il là ad altre criminal-fiction di livello purchè si possa fare a meno del buonismo e del manierismo che in questa sede ha il volto di Biagio Schirò. Ci saranno altri modi per poter fare da collante alle varie vicissitudini di un copione ?? No ??

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