lunedì, marzo 31, 2008

MEAN STREETS - GOOD FELLAS - CASINO':
L'ASCESA DI SCORSESE NELLA "COSA NOSTRA" AMERICANA
(o meglio ancora: dalle strade cattive quei bravi ragazzi sono arrivati a Las Vegas...)

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Martin Scorsese è stato indubbiamente il regista di Hollywood che meglio ha saputo descrivere il fenomeno mafioso italo-americano. Lontano da stereotipi di film che avevano fatto la fortuna del genere in questione (mafia-movie), uno su tutti "il Padrino", ha re-inventato e stravolto allo stesso tempo il concetto di mafia grazie alla sua capacità di addentrarsi nei microcosmi che la compogono partendo sempre da storie reali.
I tre film che andiamo ad analizzare sono tre storie ben definite e senza nessun legame apparente tra loro. Tuttavia viste in un ottica globale, le tre pellicole rapprensentano un'ideale trilogia nel corso della quale, partendo dalle "strade cattive" del primo capitolo, si arriva dritto dritto a uno dei più importanti templi del denaro americano: Las Vegas.
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MEAN STREETS: Uscito nel 1973, Mean streets è il quarto lungometraggio di Scorsese, e forse i più attenti, potrebbero annotare che il film parte idealmente là dove finisce "Chi stà bussando alla mia porta" (Who's that knocking at my door) del 1969. In effetti già dai primissimi scorci del film, Harvey Keitel esclama tra sè e sè: "You don't make up for your sins in church, you do it in the streets, you do it at home...the rest is bullshit and you know it."
La religiosità deviata della quale erano impregnati i protagonisti del precedente film, è in Mean streets lo spartiacque della coscienza di Charlie (Keitel). Protetto dallo zio che è uomo d'onore, Charlie non riesce a mettere sulla buona strada l'amico Johnny boy (De Niro, mefistofelico e tormentato come non mai) e si ritrova volente o nolente sempre coinvolto nelle sue vicende losche nonostante lo zio voglia per lui un posto di reponsabilità. Non solo, Charlie ama la cugina di Johnny, Teresa, una ragazza epilettica. Quando lo zio metterà in condizione Charlie di dover prendere una decisione, se lavorare per lui ma mollare i suoi amici o rinunciare a tutto per loro, un'inarrestabile susseguirsi di eventi che porteranno a una tragica fatalità si sarà già messo in moto...
Mean streets, a differenza di Good Fellas e Casino', non è tratto da una storia vera, ma paradossalmente è la più vera di tutte e tre le storie. Fortemente autobiografico, impietoso e lucidissimo nel descrivere un mondo di balordi falliti che nella migliore delle ipotesi flirtano con la malavita vera, mette tutti i personaggi al bando rilegandoli a un destino di sofferenze e autocommiserazione che neanche la fede più profonda potrà far svoltare. Come al solito, ma più che in altri film dell'autore, l'uso della musica è eccezionale. Come quando seguito da una camera a spalla, Johnny boy entra in un locale fumoso e decadente, con camminata spavalda e sapientemente rallentata, sulle note luciferine di "Jumpin'jack flash" dei Rolling Stones. O come quando una festa di rimpatrio di un marine dalla guerra in Vietnam si trasforma in una sbornia colossale al ritmo di "Rubber biscuits" dei "The chips" oscura band doo-wop degli anni 50'. Originale e azzeccatissima la scelta di fissare la camera al corpo di Keitel, con l'obiettivo volto verso il suo viso. Il tipo di movimento dell'inquadratura, sempre fissa e dove è solo lo sfondo a muoversi, assieme al ritmo sincopato del pezzo crea una sequenza vertiginosa e alcolica che lascia allo spettatore dei veri e propri postumi da ubriacatura. Ma è tutto il film a funzionare perfettamente, nella sua descrizione d'ambiente come nel dettaglio dei personaggi. Un ambiente sempre ai margini della legalità dove la mafia attinge a piene mani e popolato da personaggi nati perdenti e pronti a tutto pur di guadagnarsi, anche sulla pelle del prossimo, un minimo di visibilità e di dignità in una società cinica che rispetta solo chi ha soldi e successo.
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GOOD FELLAS: Nel 1990 Scorsese torna al mafia-movie (ma definire Mean streets come tale sarebbe erroneo) adattando il romanzo "Wise-guy" di Nicolas pileggi. Il plot narra l'incredibile e per molti versi allucinante vicenda di Henry Hill, ragazzo Italo-Irlandese che fin da ragazzo si ritrova invischiato in ambienti malavitosi. Con i suoi complici Tommy e Jimmy (Pesci & De Niro) diventerà soldato per una delle cosche della famiglia Lucchese senza però poterne diventare affiliato a causa delle sue radici non completamente siciliane. Tra alti (un furto di svariati milioni di dollari ai danni della Lufthansa che entrò a pieno titolo nella storia del crimine americano) e bassi (la galera, la dipendenza dalla droga) arriverà a un punto di non ritorno: Unica via d'uscita, il pentimento. Henry diventerà collaboratore di giustizia e farà arrestare più di 200 persone tra cui mafiosi di alto rango come il suo boss Paul vario e il suo miglior amico Jimmy Burke.
Good fellas è un film epocale, sensazionale, mostruoso e chi più ne ha più ne metta. Nessuno prima (e forse neanche dopo) ha mai pensato di poter arrivare a tanto. L'epopea di Henry (Ray Liotta, mai più così brillante) parte da giovanissimo, e attraverso i suoi occhi da bambino siamo catapultati al ritmo vertiginoso di Louis Prima e Dean Martin in un mondo di furberie, scorciatoie morali, gioco d'azzardo, contrabbandi, corruzione, furti, rapine e quant'altro. Il tutto viene vissuto da Hill ragazzo come la più normale delle cose: "As far back as i can remember, i always wanted to be a gangster." rammenta nello straordinario incipit.
Scorsese sembra solo in apparenza mistificare e glorificare l'universo mafioso, in realtà è proprio celebrandolo in tutto il suo perfetto funzionamento che ne fà emergere i lati più odiosi e rivoltanti. E visti alla luce di tutti gli eventi che portano alla fine del film (e sopratutto della vicenda di Hill che continua dopo i fatti qui narrati) i soldati della famiglia Lucchese non sono poi così diversi dai perdenti di mean streets, solo più fortunati nel poter mangiare per qualche anno una piccola fetta di un'enorme torta con la quale si abbuffano i "boss", quelli veri...
Cercare di estrapolare una sequenza su tutte sarebbe inutile e ingiusto. Good Fellas è un film che non dà un'attimo di tregua e che viene visto dall'inizio alla fine col cuore in perenne tachicardia. L'incipit, genialemente estrapolato con un flash forward da uno degli episodi cardine del film (la morte di Jimmy Batts) dà il via a un seguito febbricitante di dolly e piani sequenza memorabili scanditi dall'uso mai così funzionale della voce fuori campo, tanto coinvolgente da sembrare una vera e propria invenzione. Il resto, tra cui un fantastico De Niro nei panni di Jimmy Burke, potente gangster irlandese al soldo della famiglia Lucchese, e un'indimenticabile Joe Pesci/Thomas De Simone, schizzofrenica e psicotica spalla di Henry, non fà altro che accrescere la tensione narrativa di un film che in quasi tre ore riassume praticamente trent'anni di mafia NYchese.
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CASINO': "When you love someone you gotta trust him, there's no other way. You gotta give him the key of everything's that's yours. Otherwise what's the point ?!?
For a while i believed that was the kind of love i had..."

L'incipit di Casinò è secco, brutale, spettacolare. Non ci si aspetta certo che Sam Rothstein, vestito di tutto punto, uscendo da un elegante ristorante di Las Vegas pensando alla frase citata qui sopra, salti in aria non appena accende la macchina. I titoli di testa prendono poi il sopravvento per lasciarci alla prima ora di film che praticamente senza prendere fiato ci catapulta nel meccanismo della più implacabile macchina da soldi del pianeta: Las Vegas.
Book-maker leggendario e per questo perseguitato in tutti i principali Stati Americani, Sam Rothstein trova rifugio a Las Vegas dove grazie al suo talento per l'azzardo, qualche conoscenza mafiosa e una scorciatoia legale, prenderà in gestione un casino', il Tangiers. Con al suo fianco Ginger, la donna che gli farà perdere la testa, (e nel finale tutto il resto...) e l'amico d'infanzia Nicky, gangster spietato e mitomane, arriverà ad avere tutto e a perdere ancora di più.

Casino' viene troppo spesso liquidato come una copia patinata di "Good Fellas" e proprio per questo il film, specialmente in patria, non ha avuto il successo che si meritava. Pur essendo un mafia movie a tutti gli effetti che, come nel caso del suo predecessore, è ispirato a una storia vera, Casinò aspira a qualcosa di più. Nel ripercorrere le vicissitudini di Frank Rosenthal e Anthony Spilotro (i nomi dei veri protagonisti della vicenda ricostruita nel film) Scorsese tira in ballo temi che di rado a Hollywood vengono trattati in modo così esplicito: il dio denaro, la brama di potere, la mitomania, la follia e la corruzione...
La messa in scena spettacolare, la fotogtrafia mozzafiato, il montaggio serratissimo coadiuvato da inquadrature sempre in movimento e le interpretazioni di De Niro, Pesci e di Sharon Stone (al suo top) sono perfetti in ogni dettaglio. In tre ore e passa di film non c'è praticamente una caduta di tono e il finale apocalittico è all'altezza di tutto il resto, cosa non certo scontata.
Inutile soffermarsi sulla mostruosa recitazione di un De Niro ispiratissimo e di un Pesci veramente spaventoso, che portando le loro caratterizzazioni alle vette più alte del genere, diventano veri e propri punti di riferimento per un'intera generazione di gangster del cinematografo. Moltissimi e formidabili i personaggi di contorno, a partire dai vecchi boss del Midwest che si spartiscono le gigantesche mazzette in provenienza dal Tangiers nel retro di una rosticceria mangiando polpette al sugo fino ad arrivare al mio personaggio preferito del film: Frank Marino. Interpretato dal mitico Frank Vincent e già attore feticcio di Scorsese (Toro scatenato, Good Fellas e i più scaltri lo conosceranno per il suo ruolo di Phil Leotardo ne "I Soprano"), Marino è la spalla silenziosa e taciturna di Nicky, manovalanza pura che però pian piano inizierà a fare da tramite tra i boss e Nicky, fino a eliminare di persona quest'ultimo in una sequenza di rara brutalità. Quando i boss avvertono che Nicky stà perdendo il controllo, sarà Marino a toglierlo di mezzo uccidendo lui e il fratello a colpi di mazza da base-ball prima di seppellirli vivi...
Si conclude quindi in un bagno di sangue la nostra ideale trilogia Scorsesiana della mafia, e non poteva essere altrimenti. Ci rimane però negli occhi tutto il talento di un grande autore che grazie al suo furore visivo ha saputo riscrivere le regole di un genere che prima di lui era ancorato agli stereotipi del mafioso alla Don Vito Corleone (non che questi non ci piaccia...anzi) e a schemi narrativi che precludevano tutte quelle zone d'ombra dell'universo mafioso che solo lui ha saputo raccontare in modo così appassionante.
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1 commento:

Unknown ha detto...

bella l' analisi, puntigliosa ed asuriente, magari metterei all' inizio un "attenzione spoiler" perchè ok che i film sono cmq da vedere e rivedere, ma se non li ho mai visti è brutto sputt*n*rmi così il finale.